Questa notte, 17 febbraio 2011, i militanti di Casaggì Firenze e Giovane Italia hanno ricordato Ernst Junger, nell’anniversario della morte. Sotto una pioggia scrosciante duemila manifesti recanti il suo nome, la sua effige ed una sua frase sono stati affissi davanti a scuole, università e i luoghi di aggregazione giovanile in tutta la città. L’azione compiuta non vuole essere soltanto un momento commemorativo verso un grande pensatore e un grande Uomo, ma anche e soprattutto un monito alle giovani generazioni, nell’esempio da lui tracciato.
Junger fu il testimone di un secolo, l’interprete vivo e anticonformista di un tempo – il Novecento - carico di dolori, ma anche di idee e di passioni, di miti e di Rivoluzioni. Fu animatore della Rivoluzione Conservatrice Tedesca e un letterato tra i massimi che il nostro continente abbia mai conosciuto.
Ci ha trasmesso, con l’esempio e con le parole, un’idea della Guerra come atto eroico, come dono volontario, come sacrificio vitale che però conosce la pietas e dà spazio ai sentimenti, all’emozione e al trasporto. Le sue metafore e le sue considerazioni sulle “tempeste d’acciaio” della Grande Guerra sono e restano di tremenda attualità per la comprensione dei conflitti moderni. L’accento posto sul coraggio e sulla tempra del soldato, ci riconduce ad una dimensione dell’Uomo che verte allo Spirito, alla mistica, all’Azione, al superamento di sé stessi contro la meccanizzazione dell’esistenza e la tecnocrazia rampante. La sua idea dell’operaio, poi, ha segnato un’epoca. Non parla, Junger, di un operaio appartenente ad una classe o vicino ad una visione economicista, ma di un individuo libero, troppo spesso ancora oggi assente laddove regnano le regole del profitto e dello sfruttamento.
Riprendendo le parole di Marco Iacona potremmo dire che l’uomo che intendiamo porre come riferimento “si delinea in senso essenzialmente dualistico: erede diretto del soldato, dell’asceta guerriero e principio cardine e chiave di lettura ontologica. Figura a un tempo storica e astorica: nato ma destinato a mai perire. Il soldato è una figura empirica, occasionale, l’operaio invece è una figura quasi metafisica. Eroi entrambi. L’uno legato ai fatti di guerra, l’altro simbolo d’una nuova era. Soldato e operaio: due figure diverse dunque. Due entità poco confrontabili, misure e tempi che non coincidono. Ma c’è una cosa in comune: lo sforzo jüngeriano di eternizzare la posa del combattente, di trasferire lo spirito della vittoria nello spirito del dominatore civile, nell’uomo moderno tout court. In questo senso possiamo considerare Der Arbeiter un libro di guerra messo su in tempo di pace. Al soldato s’addice la “tempesta” (l’alternarsi degli elementi: comincia a tempestare, finisce di tempestare…), l’operaio è invece legato all’“acciaio”, al panorama d’una modernità tipologica al confine tra fisica e metafisica”.
A Junger siamo debitori anche di un’altra magnifica figura: quella del Ribelle. Il suo Ribelle ha fatto sognare intere generazioni di militanti, fornendo utili spunti per un “passaggio al bosco” oltre le imposizioni di una modernità soffocante, debole, bassa, edonista e vile. Quell’anarca identitario è anche un nostro manifesto, l’emblema di una scelta di vita che dovremmo cercare di onorare al meglio. Il soldato, l’operaio e il ribelle. E’ questo il messaggio che vorremmo dare alla nostra generazione, oltre i falsi modelli del mercatismo e dei mezzi di distrazione di massa.
“Tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos’è la libertà. E non soltanto quei lupi sono forti in se stessi, c’è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettono le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in branco. E’ questo l’incubo dei potenti”.
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